domenica 13 settembre 2015

L'albero nel Vento - Corso di meditazione del profondo con Francesco De Nigris

L'Albero nel Vento - Corso di meditazione del profondo - con Francesco De Nigris
Tutti i venerdì h 7,50-9,00

Negli anni ho visto tanti modi di meditare, dal mantra alla danza, qualcuno medita camminando nei boschi, altri correndo nella propria città. In un certo senso è vero, ogni cosa può riflettere la meditazione, ma non tutte riescono a generare uno stato meditativo. Possono aiutare una certa introflessione, ma lo stato meditativo non è semplice colloquio con se stessi, non si esaurisce con un momento di benessere e di rilassamento. Ciò che colpisce è che quando una situazione si fa pressante, intensa, stressante, emotivamente onerosa una delle poche cose che un essere umano non riesce più a fare è sedersi silenziosamente con se stesso. Può ancora correre, può ancora camminare, può parlare ad un amico,  può recitare un mantra o pregare, può lottare, disperarsi o scoraggiarsi, ma se non ha trovato una stabilità dentro non sarà in grado di fermarsi e sedersi e accogliere silenziosamente ciò che arriva. Questo ci fa capire che sedersi non è solo uno strumento, ma anche una cartina tornasole. Ci dice dove siamo e dove non siamo. Perché noi siamo abituati a creare delle storie fantastiche su noi stessi, sull'amore, sulla pace, sulla fratellanza, sullo yoga. E pochi strumenti ci aiutano ad essere onesti con noi stessi in modo implacabile. E "sedersi" è davvero uno di questi.

Meditare è una porta. Non casualmente Yogananda diceva "medita, e a suo tempo Dio busserà alla tua porta".
Dio, parola che ha significato per ciascuno di noi tante cose, anche molto diverse tra loro. Oggi che la laicità ha raggiunto il sentimento religioso - quello che non appartiene a nessuna religione - Dio è divenuto energia, luce, possibilità. DefinirLo è assurdo come sempre, ma la promessa di Yogananda non è la promessa di un allenatore di corsa o di una guida alpina. E' una promessa assoluta, senza via di scampo. Sta a ciascuno di noi accettare o meno la sfida.

Nella meditazione seduta, silenziosa, lentamente si raggiunge un uscio, si trova la maniglia, si gira - si apre. Oltre c'è un mondo vasto che parla di noi, non del noi che combatte e si arrende, non di quello che vuole e rinuncia, che desidera e che sa attendere. Quel noi è servito solo a portarci nel dojo, a sederci, a calmare il respiro. Ma poi si apre un mondo completamente nuovo, sconosciuto: oltre l'uscio si parla di un noi che germoglia quando l'io si eclissa, un io vero quindi. Un io che in India è chiamato Sé, un Sé che vede, che sente, che non ha bisogno di oggetti, di relazioni, di persone per essere felice. Né cerca colpevoli quando tutto sembra crollargli addosso. L'immagine stessa della felicità si sposta dalla proiezione futura e dal ricordo passato al tempo presente, che i maestri chiamavano "eterno". Questo Sé scopre silenziosamente che tutto è contenuto in questo tempo eterno, l'"Aiòn" della cultura greca. Allora tutto sembra essere contenuto in qualcosa di esiguo, di insignificante. Anche un'auto che passa parla di questa bellezza, o i passi del vicino sul marciapiede.

In un epoca di azione a tutti i costi, dove anche lo yoga insegue una dinamicità che sembra imprescindibile, fermarsi è azione autentica, vera, totale. Allo stesso modo il silenzio diventa parola autentica. Questo viene proposto nel corso di meditazione del profondo. Sedersi, provare, non scoraggiarsi, non arrendersi, andare oltre. Come un albero che si flette nel vento. Non arriverà nessun incoraggiamento dall'esterno, sebbene il mondo abbia bisogno di pace non incoraggia la pace. Non sa neanche come trovarla, questa pace.
Diceva Yogananda - quasi lasciando un testamento tecnico - dal silenzio alla pace, dalla pace alla gioia sempre nuova.
Questo è ciò che segretamente cerca ciascun essere umano.

Francesco De Nigris



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